Lo stato di “Flow”

Il concetto dello stato di “FLOW” (stato di flusso) fu coniato nel 1975 dallo psicologo di origini ungheresi Csikszentmihalyi e viene definito come uno stato di coscienza in cui la persona è completamente immersa, concentrata e coinvolta in un attività e sia la mente sia il corpo sono in perfetta simbiosi.

In italiano si suole dire “Stato di Grazia” mentre negli Usa parlano di “being in the zone” (essere nella zona) quasi per sottolineare che si tratta di uno spazio altro, quasi metafisico, di una realtà alternativa.

Penso allo stato di flusso di Joyce nel suo “Ulisse”, Michael Jordan nel suo ultimo docufilm “The Last Dance” e tanti altri. Si tratta di un forte focus mentale che conduce come a un senso di estasi, un senso di chiarezza in cui lo stesso concetto di “controllo della situazione” si amplifica e ci si dimentica di sé stessi.

Per un terapeuta gestaltico, ad esempio, è il principio e fine stesso di ogni lavoro. In questo “spazio” ci si sente come parte di qualcosa di più grande e la percezione del tempo si trasforma. Il cervello viene inondato da grandi quantità di endorfine, noradrenalina e dopamina che aumentano la concentrazione e la nostra capacità di collegare le idee in nuovi modi e di sviluppare il pensiero laterale.

Uno degli effetti per me più affascinanti e proprio l’aumento della felicita’(felix,essere fertili) e quindi della creatività. Una vera risorsa per tempi restrittivi e annichilenti come quelli attuali.

La domanda ora sarebbe, a quanto e a cosa siamo disposti a rinunciare in termini di distrattori e distrazioni (dai social e cellulari e l’uso che ne facciamo) per poter porre quantomeno le condizioni per accedere a simili stati di coscienza. Se c’è un tesoro prima del nostro tempo libero, i soldi, i bisogni autentici o indotti, che la vita digitale dilapida, quello è la nostra attenzione.

Senza attenzione, uno sguardo selettivo e pensiero divergente lo stesso “stato di flow” rischierebbe di diventare l’ennesima pratica mondana, l’esercizio da aggiungere anziché imparare a fare il contrario, cioè togliere; un “modo diminuito” per usare consapevolezza e tempo.

Una pratica dunque di risveglio per arrivare dove si è già, nel flusso.

Volutamente.