Ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime – scrive Victor Hugo.
Fin dai tempi antichi la musica è stata una parte importantissima della vita quotidiana dell’essere umano, accompagnandolo in rituali di nascita, purificazione, guarigione, lutto e celebrazione del divino. Parliamo insomma di vere e proprie pratiche di musicoterapia, che non hanno perso la loro efficacia nella modernità. Ma oggi cosa intendiamo esattamente, quando parliamo di musicoterapia?
La musicoterapia è l’utilizzo della musica in un processo educativo e riabilitativo volto a sviluppare nell’individuo la capacità espressiva, comunicativa, relazionale, motoria e di apprendimento.
L’obbiettivo terapeutico è quello di soddisfare le necessità emozionali, mentali, sociali, cognitive e fisiche della persona trattata. Il termine ‘musicoterapia’ deriva dal greco: ‘musikè’ e significa ‘arte delle muse’.
L’antica Grecia affidava a quest’arte una grande importanza, attribuendole il potere di rappresentare e trasformare il movimento e il suono in qualcosa in grado di far superare all’anima i confini dei sensi.
Therapeia significa letteralmente ‘cura’ e oggi per noi indica il trattamento di una malattia, o di un blocco inteso come interferenza di un equilibrio precostituito di natura.
Per la cultura greca, la musica era fondamentale non solo per la sfera religiosa, ma anche per quella sociale. Una vera e propria “medicina dell’anima”. Proprio per questo l’insegnamento della musica era proposto ai ragazzi greci fin dalla più tenera età. L’obbiettivo era quello di sviluppare in loro sensibilità e conoscenza, favorendo lo sviluppo psicofisico.
Platone è uno dei primi filosofi a studiare gli effetti della musica sull’uomo. Ne La Repubblica spiega come certe melodie provochino o favoriscano precisi stati d’animo e le isola in sequenze di toni e semitoni, chiamati “modi”. Alcuni di questi modi sono considerati rilassanti e positivi, propizi per l’educazione dei fanciulli. Altri, invece, suscitano un sentimento di tristezza e disagio e devono essere dunque esclusi dall’insegnamento.
Proprio a Platone si attribuisce il famoso aforisma “La musica è per l’anima quello che la ginnastica è per il corpo”. La sensibilità dell’anima dunque va tenuta in allenamento con l’ascolto della musica adeguata. Oggi , sulla stessa falsa riga, si parla molto di determinate frequenze capaci di creare armonia a partire da figure geometriche precise che ne derivano con materiali e piani specifici in risonanza con esse (dalla Cimatica agli studi di Riccardo Tuis).
Ascolto è l’alfa e l’omega di tutto il paradigma. Quando parliamo di ascolto, non possiamo eludere il ruolo del silenzio, premessa fondamentale perché la musica possa compiersi. Penso spesso ad alcuni momenti di terapia, in cui più che parlare il corpo sembra vibrare da sé certe tonalità emotive, che aspettano solo di essere colte, portate all’evidenza della consapevolezza, per intessere, spostando sguardo e postura interiore, in relazione con l’altro- in questo caso il terapeuta- spartiti nuovi ed inesplorati. Perché se come canta magistralmente Alessio Bonomo “la musica non esiste, ma esiste un’altra cosa, di cui la musica è una serva” allora per certi versi, tenendo la metafora con la terapia, la guarigione non esiste, ma esiste un’altra cosa di cui la guarigione è una conseguenza. Maturare.
Ascoltare per imparare ad esercitare l’udito. Ascoltare per imparare a vedere con i suoni. Ascoltare per re imparare a tollerare l’incertezza senza farsi prendere dalla tentazione del riempimento compulsivo. Ascoltare per intendere anche silenzi pieni. In musica come in relazione.
A patto che ci ricordiamo che lo spazio stesso tra le note, è sempre e ancora musica.