“L’invidia è ammirazione segreta” scriveva Kierkegaard.
“Tu riesci dove io non oso. Tu hai tutto per essere felice”, dice l’invidioso.
I vizi capitali, se usati con saggezza, credo possano essere esercizi straordinari di apertura al mondo, o perfino diventare dei veri e propri “superpoteri”. Invidiare bene,ad esempio, non è per niente facile: c’è senza dubbio chi è più portato e chi meno, ma saper “in-videre”, cioè vedere da sopra e da dentro gli altri, è un arte, direi quasi una particolare forma di empatia.
L’invidioso riconosce i motivi per cui l’invidiato dovrebbe essere grato alla vita. Sa esattamente il perché dovrebbe essere felice ed, esprimendo la propria invidia, gli indica la sua grande ed immeritata fortuna. Già, perché il primo passo resta sempre quello di una spietata e tenera ammissione, altrimenti l’invidia resta vizio e come tale alla lunga logora. Il secondo passo per tramutarla in potere prevede poi ricordare che “C’è ben poco merito nella virtù, e ben poca colpa nell’errore”, come scriveva De André.
Perché i doni (un talento o successo di qualsiasi tipo) sono per natura donati appunto, sproporzionati rispetto alla complessità di quel che pensiamo di essere e delle zone in ombra che ci abitano, ed imparare a coltivarli senza accanirsi, né identificarsi con essi,libera, tanto l’invidiato quanto l’invidioso. Poi occorrerebbe imparare a selezionare di proposito le persone che secondo noi hanno più di quel che meritano, che “dovremmo” (o vorremmo) avere noi e che non abbiamo.
A quel punto potremmo accorgerci di quanta segreta stima o energia o anche preziose idee e ispirazioni rimaste implose potrebbero fuoriuscire, ad esempio. A seguire, per le persone più temerarie, l’esercizio di trasformazione da vizio in potere richiede pochi ultimi passi, ma cruciali. Sforzarsi di invidiare chiunque, anche le persone che non invidieremmo mai, inutili etimologicamente, o che ci fanno pena.
A quel punto la percezione potrebbe ampliarsi e creare curiosi squarci. Giacché la fortuna è sempre immeritata e arride gli audaci che imparano nel tempo il potere dello sguardo senza l’ombra del giudizio e l’azione distaccata dalla meta del successo.
Infine, invidiare se stessi.