Dalla manipolazione alla dipendenza affettiva: quando gli incastri ciechi rendono gli amori impossibili

Bauman, in Amore liquido, scrive: “In una cultura consumistica e patriarcale come la nostra, che predilige prodotti pronti per l’uso, soluzioni rapide, ricette infallibili, assicurazioni contro tutti i rischi con slogan “soddisfatti o rimborsati”, quella di imparare ad amare è la promessa (falsa ed ingannevole) di rendere l’esperienza dell’amore simile ad altre merci che attira e seduce promettendo soddisfazioni immediate e risultati senza sforzi”.

Ma l’Eros, ci ricorda Levinas, per vivere deve essere diverso dal possesso e dal potere perché per natura ha a che fare più col mistero e l’immaginare da un futuro, più che da un passato che minaccia di ripetersi. Occorre ricordare inoltre che il desiderio ha bisogno di distanza e tempo da consumare per poter essere messo in scena e vissuto.L’era attuale invece celebra l’istante e la soddisfazione prima ancora del desiderare.

Le voglie, prendono così il posto dei desideri. Succede così, che in coppia, la “zona vulnerabile”più che diventare terreno per coltivare desideri e sostenere insicurezze e inadeguatezza, diventi gancio di traino per affermare i bisogni di un io bambino ne visto ne riconosciuto come tale.

Il dipendente ama l’altro idealizzato, lo stesso amore che ha provato nell’infanzia per un genitore irraggiungibile, o verso cui persiste un movimento interrotto, dal quale si è sentito svalutato o tradito. Si crea spesso quindi un copione a ripetere di questo “amore non compiuto” che porterà il dipendente a nutrirsi di dinamiche svalutanti, e di dolore cieco. Amare un partner realmente affettuoso e gentile porterà ad annoiarsi, invece lo stare sulla corda, il rifiuto, la mancanza di certezza muoverà un desiderio senza futuro, aprendo così pericolosi circoli viziosi in cui vittime,col terrore della perdita, e carnefici, con la mania di dominio, si incastrano alla perfezione, in dinamiche di “controllo a distanza” che svilisce più che nutrire.

La rabbia della colpa per sentirsi “sbagliati” allontana poi il coraggio del volersi responsabili e la complessità dell’imparare a riconoscersi per quel che si è, manipolati e manipolatori al contempo, chiude la visuale di uscita.

La paura più grande alle volte è proprio quella della felicità.