Byung-Chul Han, filosofo contemporaneo scrive: “Le sofferenze sono cifre di un codice: contengono la chiave per comprendere ogni società. Se le sofferenze vengono lasciate solo alla medicina, ci sfugge il loro carattere di segni“.
L’epoca odierna è profondamente segnata da una radicale algofobia,una paura generalizzata del dolore connessa essa stessa ad una tanatofobia,paura altrettanto diffusa della morte, prima ancora come idea,che come evento. Ne è derivata una società in anestesia permanente, e di una positività imposta a forza, che cerca di sbarazzarsi a tutti i costi del negativo.
Questo ha portato se ci riflettiamo bene a un processo di farmacologizzazione generale, a volte simbolico, a volte reale, dove non vi è più tempo né desiderio di andare alla radice dei propri dolori,per porci in dialogo attivo e creativo con essi ma piuttosto ciascuno va in ricerca immediata del proprio farmacon(dal greco veleno) per una cura palliativa qualsiasi purché indolore e rapida.
L’intrattenimento tout court diventa anestetico base ed il nostro diseducato narcisismo lo specchio fedele di un “vivere a caso” in ricerca del”like facile”. Imparare “a morire” invece una volta al giorno nella società “immortale”,senza dolore, sarebbe la vera sfida.A ben rifletterci, senza dolore non è possibile alcuna conoscenza capace di rompere radicalmente col passato. Il rischio e’ quello di polarizzarsi tra un atteggiamento cinico e distaccato, o al contrario irenico, innamorato quasi, verso il dolore.
Eppure entrambi i modi ne hanno paura: l’uno vi fugge distaccandosene, l’altro cercandolo con ossessione. Una terza via,difficile ma rivoluzionaria, sarebbe quella di educarci al conflitto,nelle relazioni e quindi in noi stessi. Amplificandolo anziché rifuggirlo, ci aiuterebbe magari ad uscire fuori dallo stato di guerra permanente in cui paradossalmente più lo evitiamo più ci ritroviamo dentro di esso irretiti e disorientati.
Invece, fare del polemos (dialogo/polemica) uno spazio di incontro/scontro con l’altro, un terreno di scoperta e nuove vedute ci permetterebbe di poter intendere la vita come mezzo per la conoscenza più che come terreno di conquista.
Il dolore va onorato prima che trasformato.