“Quando uno vive,vive,e non si vede” (Pirandello)
Da quando i social network hanno preso il sopravvento sulla nostra vita, è nata una nuova forma di ansia sociale: si chiama FOMO (Fear Of Missing Out) ed è la paura di essere tagliati fuori. È la malattia del nostro secolo ossessionato dalle comunicazioni: il pensiero costante che gli altri stiano facendo qualcosa di più interessante di quello che stiamo facendo noi. E che ci stiamo perdendo qualcosa.
Secondo lo studio americano Kleiner Perkins Caufield & Byers’s un utente medio guarda lo smartphone circa 150 volte al giorno, una volta ogni 6 minuti.
La FOMO è sempre esistita ma l’avvento dei social ne ha amplificato la portata e diffusione. Prendendo spunto dalla nota teoria dell’autoderminazione potremmo ritenere la salute psicologica, raggiunta,quando l’essere umano si sente capace di influenzare il proprio “ambiente”, percepire di essere autonomo e di stare in relazione con gli altri.
La frustrazione di quest’ultimo bisogno è carburante diretto che maggiormente genera FOMO. Una forma di insicurezza virale che sembra invitarci dunque a diverse riflessioni.
La prima, osservare e ammettere quando ci siamo dentro.Bisogna esercitare sempre lo spazio mentale e l’opportunità per una disidentificazione dai propri profili virtuali.Un like ricevuto o mancato non è per forza elemento di validazione di sé, e donarsi totalmente ai media una scelta non sempre vantaggiosa. Come tante forme di paura,oltre che naturale, non può essere sconfitta per sempre, ma controllata, nel tempo, si.
Portare attenzione (la stessa che i media dilapidano) alle emozioni nostre per imparare a distinguerle da quelle indotte, può risultare altrettanto decisivo per arrivare a vivere e intendere un tempo veramente nostro, segreto per natura.
La trasparenza è diventata uno dei miti del contemporaneo che alimenta, per dirla alla Byung-Chul Han, “una pornografia” della società dell’informazione,pericolosa perché abolisce lo spazio del segreto, rende obsoleta la politica, distrugge il desiderio a favore del piacere facile e toglie spazio al ruolo e all’importanza del rito e del sacro.